In Sardegna la festa del fuoco di Sant’Antonio è un evento molto sentito; sono tantissimi, infatti, i paesi che mantengono viva questa secolare tradizione che sancisce l’inizio dei festeggiamenti del Carnevale.
Secondo la storia, Antonio Abate (celebrato il 17 gennaio, giorno della sua morte) visse a cavallo tra il III e il IV sec. d.C. in Egitto. Rimasto orfano e ricco, vendette tutti i suoi averi per ritirarsi nel deserto, in povertà, castità e preghiera. Qui la leggenda racconta che fu messo a dura prova dal demonio e che, solo negli ultimi anni di vita, abbondonò la solitudine per vivere circondato da un gruppo di discepoli. Al momento della morte (avvenuta ad Alessandria all’età di 105 anni), furono proprio questi ultimi a seppellirlo in un luogo rimasto segreto.
Una leggenda sarda narra che, in antichità, l'uomo, non conoscendo l'esistenza del fuoco, era costretto a sopravvivere al freddo. Sant'Antonio abate, preso dalla compassione, si recò all'inferno con al seguito il suo maialino e il suo bastone di ferula. Una volta arrivato alle porte degli inferi, Lucifero e gli altri diavoli lo bloccarono senza farlo proseguire. Il maialino riuscì, però, a infiltrarsi creando un gran subbuglio. I diavoli furono costretti a far entrare Sant'Antonio per prendere l'animale e portarselo via. Approfittando di questo trambusto, il santo riuscì ad avvicinare il suo bastone di ferula (pianta erbacea che a diretto contatto col fuoco si annerisce ma non brucia) alla brace conservando al suo interno il fuoco: a quel punto richiamò all'ordine il maialino ed uscì. Una volta sulla terra, gli bastò soffiare sul suo bastone per farne scaturire delle scintille che si sparsero per tutta la terra donando un prezioso elemento agli uomini.
Sant’Antonio Abate, anche conosciuto come Sant’Antoni de su fogu, è ricordato dalla Chiesa il 17 gennaio e in ogni paese della Sardegna si omaggia con falò, doni e preghiere.
Nella notte tra il 16 e il 17, l'usanza vuole che si accendano dei grandi falò, di solito nel piazzale antistante la chiesa al Santo, in quanto si dice che Sant'Antonio Abate sia custode del fuoco e guaritore della malattia chiamata "fuoco di Sant'Antonio" ossia l’herpes zoster.
Il legame che esiste tra la figura del Santo e la malattia, è molto forte. In passato, solo chi possedeva delle profonde conoscenze taumaturgiche poteva contrastarla ed è così che la figura di Sant’Antonio veniva in soccorso.
Stando ad antiche credenze, infatti, il Santo allevava maiali dai quali prelevava il grasso che era utilizzato per lenire i sintomi del bruciore della malattia.
I guaritori, inoltre, usavano anche il carbone bollente che veniva applicato attorno all’area interessata dall’infezione e, con movimenti circolari, recitavano formule magiche che contribuivano alla guarigione.
Ogni anno, tra il 16 e il 17 gennaio, Sant’Antonio Abate diventa protagonista dell’inverno sardo.
In molti paesi dell'isola, il rituale inizia alcuni giorni prima con la preparazione del materiale da utilizzare il giorno dell'accensione. Il rituale, che varia da paese a paese, consiste nella raccolta della legna, nella preparazione delle fascine e nello sradicamento di una pianta, cava al suo interno (tuva). La raccolta della legna avviene con la partecipazione delle persone del paese che collaborano anche al trasporto del materiale e all'accensione. In passato il materiale, una volta pronto, veniva trasportato sopra un carro trainato da buoi (ora sostituito da un trattore) seguito da un lungo corteo di carri e di uomini a cavallo, accompagnati dal suono delle Launeddas.
I tronchi vengono, poi, rimessi in posizione verticale al centro della piazza della chiesa, come per ricordare la struttura della ferula del santo. Nei fori dei rami tagliati si inseriscono delle frasche di alloro che serviranno per accendere il fuoco. Terminato il rituale della preparazione il prete benedice i tronchi e il fuoco e da quel momento inizia la festa.
I festeggiamenti proseguono per tutta la notte, accompagnati dal suono delle launeddas, da balli sardi, dalla degustazione dei dolci tipici, dal vino novello e in alcuni paesi dalle danze delle maschere locali. Il fuoco viene lasciato ardere fino a sua completa combustione, dopodiché le ceneri vengono raccolte e utilizzate per scongiurare malattie sia degli uomini che del bestiame e per preservare il raccolto da brutte annate e malattie, mentre i tizzoni vengono utilizzati per riaccendere il fuoco nelle case.
I falò, nei vari paesi della Sardegna, assumono vari nomi: il termine più generico e comune è su foghidone, ma si utilizzano differenti termini a seconda dei tipi di legnami utilizzati. I più conosciuti sono sa tuva, sos focos, sas frascas e su romasinu.
Sa tuva (tuvas al plurale) è un tronco cavo di quercia secolare privato di rami e radici. Il fuoco brucia dentro l'albero e le fiamme escono attraverso le cavità. Nei paesi in cui si utilizza sa tuva è più antica la tradizione del fuoco. Sembrerebbe che sia stato questo tipo di tronco a dare ispirazione alla leggenda del Santo che diffonde il fuoco dall'interno del suo bastone.
Nei paesi dove c'è la tradizione di sos fogos gli organizzatori passano di casa in casa per ritirare il legname che molte famiglie offrono. Alcune volte sono gli stessi fedeli a portare il legname per accendere il falò e mantener viva la tradizione. La sera della vigilia, dopo la processione con la statua del santo per le vie del paese, i fedeli fanno dei giri intorno al fuoco, tre giri in senso orario e tre giri in senso antiorario.
In altre zone della Sardegna, i falò sono fatti con sas frascas, legname tipico della macchia mediterranea, come corbezzolo, lentischioe cisto, ammassato nelle campagne. Il giorno della vigilia il legname viene trasportato in paese e posizionato nella piazza attorno ad un palo. I giovani del paese, dopo l'accensione, scalano il palo (prima che le fiamme siano alte) cercando di recuperare la croce di agrumi posta alla sua sommità.
In alcune località, come Dorgali e Siniscola si utilizzano le frasche del rosmarino. Il falò scaturito da questa pianta aromatica prende il nome di "su romasinu".
Il fuoco diventa quindi il simbolo dell’unione che lega la fede di tutti al Santo e che per l’occasione danno vita a una serie di balli e canti popolari che rendono ancor più suggestiva la festa.
A Sedilo, ad esempio, in provincia di Oristano, un’antica usanza prevede che i falò vengano seguiti da un’asta animata da tante persone che prendono il nome di Prozetos.
Tutti questi prodotti, agnelli, maiali, pane, formaggio e altro ancora, vengono battuti all’asta per poi essere venduti a chi fa l’offerta migliore.
Ciò che si ricava va alla chiesa, mentre ai vincitori spetteranno cibi di ottima qualità e contribuiranno a tenere viva questa secolare tradizione.
C’è da specificare che quella dei Prozetos rappresenta una figura molto antica.
In epoche passate, infatti, ogni famiglia possedeva almeno un maiale d’allevamento e che poi veniva macellato nel periodo invernale, specialmente in occasione della festa di Sant’Antonio.
A quei tempi c’era l’usanza di regalare un pezzo di carne ai vicini e alla chiesa, oltre che al Santo che, in molti dei dipinti a lui dedicati, viene rappresentato con un maialetto di fianco.
In epoca contemporanea, invece, non tutti hanno l’abitudine di allevare questi animali e per questa ragione vengono introdotti anche altri prodotti che, come detto, sono battuti all’asta e vinti dal miglior offerente.
Ad Abbasanta si accendono diverse tuvas, ad opera di diversi comitati: un gruppo di persone battezzate col nome del Santo (Antonio), un gruppo composto da pastori e contadini, un gruppo di ferrovieri e uno dedicato a sa leva noa (la leva nuova). Nella stessa piazza ha luogo anche sa ditta, vendita all'asta di prodotti gastronomici per beneficenza.
A Cagliari la festa si limita ai soli riti religiosi. In via Manno vengono accese centinaia di candele e si distribuisce pane benedetto, per allontanare la carestia. Sant’Antonio, inoltre, è da sempre il protettore degli animali e per l’occasione, la chiesa di via Manno è un pullulare di cani, gatti, cavalli, buoi, pronti a ricevere la consueta benedizione nella caratteristica messa.
A Monastir i festeggiamenti si protraggono per una settimana: la statua del santo viene trasportata da una parrocchia ad una chiesetta che sorge su un piccolo colle; qui il parroco accende su fogadoni.
Il compito di procurarsi sa tuva, a Norbello, invece spetta ai ragazzi de sa leva noa. "Sa tuva" viene portata nel piazzale di San Giovanni, dove verrà accesa; ad attenderla ci saranno le ragazze diciottenni.
A Pabillonis si ha l'usanza di fare un unico grande falò (su fogadoni) alto non meno di 13 metri e con un diametro che supera i 6 metri, posto al centro del piazzale accanto all'edificio delle ex scuole medie; la brace viene usata per arrostire maialetti ed agnelli, serviti alla popolazione, insieme a pasta e pane benedetto, il tutto dopo la processione religiosa.
Occorre sottolineare che la sera del 16 gennaio è quella che, tra tradizione e ritualità, sancisce la prima uscita ufficiale delle grandi protagoniste del Carnevale sardo.
A Mamoiada, con il falò di Sant'Antonio si inaugura il Carnevale. Nel paese a pochi chilometri da Nuoro vengono accesi dei fuochi nei diversi rioni, che sono visitati dalle maschere dei Mamuthones e Issohadores. La festa ha inizio nel pomeriggio del 16 gennaio, quando il sacerdote, anticipato dal rintoccare delle campane, benedice il fuoco principale allestito nel piazzale della chiesa Patrona Beata Vergine Assunta, girando per tre volte attorno al fuoco col santo e tutti i fedeli in processione e recitano il credo. Tradizione vuole che si prenda dal fuoco principale un carbone ardente, da utilizzare per accendere ogni fuoco rionale (una quarantina). Inizia così forse la festa paesana più sentita a Mamoiada, con un via vai di persone che passa da un fuoco all’altro per assaggiare il vino e salutare amici e parenti venuti in paese per l’occasione.
La festa termina il 18 gennaio, giorno di Sant'Antoneddu, con i componenti di ogni rione riuniti in modo riservato a consumare gli avanzi di cibo della festa mentre bruciano gli ultimi tizzoni.
A Ottana si accende un solo fuoco chiamato Su Ogulone de Sant'Antoni (il grande fuoco in onore di Sant'Antonio) e viene benedetto dal Parroco. Si trova nella piazza sottostante la cattedrale di San Nicola. In tale occasione vi è la prima uscita dei Boes e Merdules, le maschere più famose di Ottana.
Quanto e che cosa c’è di pagano in questa festa?
Il rito cristiano appare costruito su un antichissimo rito pagano che simboleggiava la morte e la rinascita della divinità e, con questa, della natura. Lo testimonia la leggenda di Sant’Antonio (che rubando il fuoco ai diavoli per darlo agli uomini incarna un nuovo Prometeo, figura molto nota della mitologia greca, che, appunto, rubava il fuoco agli Dei per darlo agli uomini) e lo testimonia la presenza del maialetto al suo fianco, associato (sempre dai Greci) alla Dea Demetra, divinità della terra e delle messi.
La stessa ritualità legata alla festa è, essa stessa, ricca di suggestioni pagane. I balli e i giri intorno al fuoco si ricollegano infatti ai ritmi in onore del Dio Dioniso, dove la perdita di controllo era il passo necessario per entrare in contatto con la divinità ed esserne “posseduti”. Parlano di paganesimo anche i cibi associati alla festa di Sant’Antonio Abate come le arance (simbolo pagano di fecondità) impalate e mangiate intorno a sas tuvas, e le panadas di miele (alimento associato da sempre e in molte culture al culto dei morti). A Sedilo, in occasione dei festeggiamenti per Sant’Antonio Abate, veniva e tutt’ora viene preparato il dolce su pane e’ saba, pane di mosto cotto, in quanto si riteneva fosse in grado di proteggere le persone e il bestiame.
Protettore delle fanciulle innamorate, era usanza che le ragazze nascondessero sotto il letto le lampade ardenti a sette bracci, richiamo della menorah ebraica. Le lucerne in terracotta, poi, erano presenti nei riti antichi in onore della dea Demetra.
Ancora oggi Sant’Antonio è indubbiamente fra le figure più venerate.
Il rito dei fuochi rappresenta un momento di purificazione e di passaggio. Secondo la tradizione, i falò accesi in occasione della vigilia, ogni 16 gennaio, “divorano” con le loro fiamme ciò che è trascorso durante l’anno e, benché alla stagione manchino ancora diverse settimane, portano alla rinascita della primavera.
Con Sant’Antonio, la Sardegna si conferma, una terra di tradizioni antiche, tradizioni così radicate nell’animo e nel cuore della sua gente da essere state per certi versi accettate e inglobate dalla religione cristiana che, arricchendole con i suoi simboli, gli ha dato nuova vita.
Stefania Cuccu