La città di Cabras, nella provincia di Oristano, vanta una storia antica, fatta di arte, cultura e tradizioni.
Come dimostrato dall'importante villaggio di "Cuccuru is arruis", il suo territorio fu abitato dall'uomo fin dal neolitico: si contano all'incirca 75 nuraghi.
Al primo millennio a.C. vengono datate dagli studiosi le imponenti statue di Monte Prama, rinvenute casualmente negli anni '70, recentemente restaurate e custodite nel Museo Archeologico di Cagliari.
Intorno all'VIII secolo a. C. i fenici fondarono la città di Tharros, abitata ininterrottamente per tutto il periodo cartaginese e poi romano.
I primi insediamenti documentati nell'attuale centro di Cabras risalgono invece all'XXI secolo, quando la città di Tharros si spopolò definitivamente a causa delle incursioni dei corsari nordafricani. Sappiamo che primi abitanti si stabilirono intorno al castello, di cui oggi rimangono solo alcuni resti vicino alla chiesa parrocchiale noto come "Masone de Capras”, un nome con il quale compare ancora nei secoli successivi.
La storia del paese proseguì nel tempo, seguendo gli sviluppi dell’intera Regione: nel 1388, Cabras passò sotto il controllo del giudicato di Arborea e nel 1478 la città, così come gli altri territori appartenenti all’ex Marchesato di Oristano, vennero incorporati prima nel demanio della Corona di Aragona e poi in quella della Corona di Spagna.
Nel 1479 passò sotto alla giurisdizione di Oristano, divenuta città regia, segnando anche una lunga dominazione spagnola che si protrasse fino agli inizi del XVIII secolo.
Dopo la caduta del giudicato, il paese divenne dominio di numerosi feudatari anche se spesso gli abitanti cercarono di liberarsi dal vincolo feudale con rivolte sanguinose.
Solo nella prima metà del XIX secolo il paese venne incluso nella provincia di Oristano come capoluogo di mandamento sino al 1859, quando passò alla provincia di Cagliari. Nel 1974 tornò a far parte della provincia di Oristano appena ricreata.
Cabras rappresenta, oggi, il luogo ideale per una vacanza all’insegna di natura e cultura. Nei circa 30 chilometri di costa sulla quale si affaccia il villaggio, sorge l’area marina protetta della penisola del Sinis, comprendendo l’isola di Mal di Ventre e l’isolotto del Catalano, che nei loro fondali nascondono antichi relitti. Sul litorale cabrarese, si immergono nel mare turchese spiagge fatte di finissimi granelli di quarzo, opera della lunga azione di vento e acqua sulle rocce calcaree della zona: Is Arutas, Maimoni, Mari Ermi e San Giovanni di Sinis.
Un altro luogo caratteristico è San Salvatore di Sinis, frazione di Cabras, da cui dista nove chilometri lungo la strada che porta alla splendida spiaggia is Arutas e all’antica città di Tharros; si tratta di una borgata medioevale, il cui aspetto attuale risale alla dominio spagnolo. Deve il nome alla chiesa di San Salvatore, sorta nel secondo XVII secolo, eretta su un santuario preistorico scavato nella roccia che presenta tracce di frequentazione che arrivano sino al Neolitico. Un corridoio conduce, attraverso ambienti rettangolari e circolari sino alla camera principale dotata di fonte sorgiva che in età nuragica è stato destinato al culto pagano delle acque. In epoca punica l’area è stata dedicata a Sid, dio guaritore, e sulla stessa scia i romani hanno praticato il culto di Asclepio. L’ipogeo è stato trasformato, dal IV secolo, in santuario paleocristiano in onore del Salvatore. La somiglianza a paesaggi americani di frontiera ha fatto sì che fosse affittato a produttori cinematografici, diventando villaggio di Arizona o Nuovo Messico (saloon incluso) in numerosi film. Passato di moda il genere, è rimasto attrazione per curiosi.
La chiesa è attorniata da sas cumbessias, piccole e disadorne abitazioni edificate a fine XVII secolo, adibite all’alloggio dei pellegrini durante le novene, in onore di san Salvatore, tra agosto e settembre.
Una delle ricorrenze più suggestive che coinvolge tutta la comunità di Cabras è infatti legata alla processione di San Salvatore ed è chiamata "la Corsa degli Scalzi". Questa, che si svolge durante il primo fine settimana di settembre, consiste nella rievocazione del salvataggio del simulacro di San Salvatore da un attacco dei Saraceni alle coste del golfo di Oristano. I partecipanti, circa 800 uomini, indossano il saio bianco dei penitenti e trasportano il simulacro da Cabras al villaggio, percorrendo circa 7 km lungo le polverose strade del Sinis, rigorosamente a piedi nudi e di corsa, secondo un ordine prestabilito. Il giorno seguente, la prima domenica di settembre, il rito si ripete in senso inverso e il Santo fa il suo ritorno a Cabras.
"La Corsa degli Scalzi" è una tradizione portata avanti da almeno cinquecento anni di generazione in generazione, con qualche parentesi che ha le caratteristiche della leggenda...
Tutto inizia ai tempi delle incursioni piratesche nella costa occidentale della Sardegna: si racconta che da queste parti arrivarono i saraceni che invadevano le campagne e i paesi e facevano razzia di tutto. Catturavano gli uomini, sceglievano le donne più belle e si portavano via le ricchezze. I contadini che vivevano nel villaggio di San Salvatore si trovarono a fronteggiare i pirati saraceni, sbarcati all’alba per mettere a segno l’ennesima razzia. Senza perdere tempo, gli uomini del posto si misero in fuga per salvare almeno il simulacro di San Salvatore, custodito nella chiesa del villaggio. Corsero via scalzi e, per spaventare i predoni, legarono alle caviglie un mazzo di frasche secche. Sollevarono un gran polverone e quelli, spaventati, pensando di essere attaccati da un esercito, decisero di indietreggiare. Il protettore del Sinis, venne così portato al riparo.
Una storia al contrario insomma: un santo salvato dalla gente. La tradizione della "Corsa degli scalzi" è iniziata così. Le fotografie in bianco e nero raccontano che neppure durante la guerra gli uomini di Cabras hanno interrotto il vecchio rito. Non erano in molti, certo, ma non sono mancati. Ora sono mille o pochi di meno. All’alba, il primo sabato di ogni settembre, partono da Cabras e vanno verso il borgo, disabitato e silenzioso per tutto l’anno, strapieno di gente e addobbato nel periodo della festa. Indossano un abito bianco e lungo: se lo legano ai fianchi e partono di corsa tutti scalzi, portando in spalla la statua del loro protettore, per quasi otto chilometri: un tratto lungo di strada asfaltata e malconcia e poi una stradina polverosa, piena di spine e sassi.
La domenica sera, poco prima del tramonto, fanno il percorso al contrario accolti da applausi, canti sardi e fuochi d’artificio e circondati da migliaia di persone che piangono e pregano. Ognuno di loro ha un motivo diverso per essere qui: c’è chi deve ringraziare e chi deve chiedere scusa, c’è chi invoca una grazia e anche chi vuole semplicemente dare un contributo a una tradizione.
La forza di questi uomini ci garantisce che "la Corsa degli Scalzi", così come la fede e la devozione alla nostra storia e alle nostre tradizioni, non si fermerà mai.
Stefania Cuccu