In poche regioni d’Italia il “sentimento della poesia” si è sviluppato con tanta passione come nella nostra amata isola.

Ma il sentimento della poesia in Sardegna è diverso dalla concezione che se ne ha nel linguaggio comune: è un istinto misterioso che con l’improvvisazione coniuga musicalità, ritmo e argomentazione all’interno del verso. Ecco perché si parla comunemente di “cantare in poesia”.

Questo modo di fare poesia fa parte del mondo della gara poetica. Chi sono dunque questi poeti della Sardegna?

Si tratta di gente di ogni estrazione sociale, ma nessuno di loro scrive, e tanto meno medita, il proprio canto poetico. Tutti invece si abbandonano alla più schietta, alla più rapida estemporaneità, fino ad acquistare quella fama di famosi improvvisatori di cui godono presso il popolo.

Il canto a poesia è improvvisazione pura. La genialità sta in questa combinazione istantanea di parole che accosta tutti i significati che il cantore pensa in quel momento. In quel contesto.

Non abbiamo notizie certe. Probabilmente la gara poetica è nata nei campi per poi trasferirsi nelle piazze dove è diventata uno spettacolo.

La platea si appassiona ai suoi poeti e segue ammirato tutte le fasi della gara, rilevando, man mano, il maggior estro di ciascun cantore e il brio, o il raziocinio, con il quale egli attacca o si difende. Perché uno dei maggiori pregi che distinguono la vena dei poeti sardi è  la logica stringente con cui viene ribattuto ogni argomento dell’avversario.

La gara vera e propria sul palco, pare sia nata a Ozieri nel settembre 1896 in occasione della festa in onore della Madonna del Rimedio. L’ideatore fu Antonio Cubeddu, famoso poeta locale nato a Ozieri nel 1863 e deceduto a Roma nel 1955 all’età di 92 anni.

La gara è divisa in quattro parti: s’esordiu, su primu tema, su segundu tema e sa finale cun duinas, batorinas e sonettos (l’esordio, il primo tema, il secondo tema, e la finale con distici, quartine e sonetti).

Un rappresentante del Comitato sale sul palco con due biglietti che vengono sistemati all’interno di un berretto. Su ogni biglietto c’è scritta una parola che rappresenta il tema che il poeta deve  sviluppare subito dopo l’estrazione.

Gli argomenti sono vari e sempre contrapposti: luce/buio, acqua/fuoco, estate/inverno, amore/odio, paura/coraggio, povertà/ricchezza, guerra/pace, salute/malattia, servo/padrone.

Poesia popolare, dunque, ma colta. Per veri professionisti. Perché discutere su un tema obbligato non significa soltanto conoscere le regole della poesia, che vive di rima e di metrica; significa essere sempre aggiornati sulle vicende sociali (ISIS, Covid…) avere riflessi pronti, una grande capacità di replicare ad un attacco ricorrendo, se serve, alla storia, all’ironia o al sarcasmo. Ecco perché i cantadores sono poeti e attori allo stesso tempo.

La gara si chiude con un sonetto dedicato al Santo e questo è l’elemento che fa del canto a poesia un patrimonio della nostra tradizione.

Il poeta diventa interprete della festa, lo comunica all’esterno, e diventa interprete delle preghiere e dell’invocazione al Santo.

Questo canto, questo patrimonio della nostra cultura, non deve morire perché appartiene alla nostra anima, è nelle radici più profonde del nostro popolo. Ma non dimentichiamo che la poesia improvvisata si salva soltanto a una condizione: se si recupera la nostra cara, vecchia e amata, lingua sarda.

In fondo è proprio questo il problema principale: la sopravvivenza della lingua. 

Stefania Cuccu

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